“Non oso proporre l’assegno mensile ai ristoratori sulla base del reddito. Perché metto nei guai qualche milione di italiani, non cento. Diverso se fossimo in un Paese di fedeltà fiscale: in quel caso sarebbe una cosa automatica”.
Non ci sta Fipe Confcommercio, la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, ad accusare in silenzio le parole di Pierluigi Bersani. L’ex dem ha messo in dubbio la correttezza delle dichiarazioni dei redditi nel settore della ristorazione, nella puntata del 20 ottobre “Di Martedì“, programma in onda su La 7.
“Le parole di Bersani hanno fatto più male alla categoria dei ristoratori di quanto abbia fatto il coronavirus. Non tanto e non solo perché dimostrano un retro pensiero superficiale e falso, ma soprattutto perché nascondono la voglia di una certa politica di dividere tra imprese di serie A, che meritano di essere salvate, e imprese che possono essere lasciate morire”, commenta Aldo Cursano, vicepresidente vicario di Fipe.
Non intendiamo accettare questa logica vergognosa e pretendiamo le scuse pubbliche immediate da parte dell’ex ministro Bersani che, è bene non dimenticarlo, con le sue riforme ha contribuito a penalizzare le realtà più piccole, cambiando il volto dei centri storici delle nostre città”.
“Bersani – continua Cursano – si dovrebbe scusare per queste parole, pronunciate in un momento in cui ci sono 400mila lavoratori dei pubblici esercizi a casa in cassa integrazione e il rischio concreto che entro fine anno muoiano 50 mila imprese“.
Non per colpa del virus, ma per la mancanza di un’adeguata copertura finanziaria necessaria a compensare le perdite delle imprese. Perché una cosa deve essere chiara: il governo ha il diritto di attivare le restrizioni che ritiene necessarie, ma non quello di scaricare i costi solo sui privati”.
“Il settore dei pubblici esercizi, in barba ai luoghi comuni di Bersani – conclude Cursano – ha contribuito a tenere in piedi il sistema fiscale del Paese e ora chiediamo solo che un po’ di quanto abbiamo dato ci venga restituito per permetterci di sopravvivere. Il nostro settore conta 1,3 milioni di lavoratori, in larga maggioranza donne, e crea un valore aggiunto di oltre 90 miliardi di euro l’anno e merita qualcosa di più delle livorose parole di Bersani”.
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